Altri noi. La prima indagine dell’assistente sociale Menandri

In occasione del mio compleanno mi/vi “regalo” un pezzo del mio nuovo romanzo che uscirà a settembre. E’ la storia dell’assistente sociale Marco Menandri il quale dopo l’uccisione di un suo assistito, il disabile Carluccio Romano,  viene “travolto” in un vortice di situazioni,accadimenti, sentimenti e decisioni. “…Doveva indagare! Ormai l’impegno era duplice con Carluccio e Carmine. Non poteva più permettersi di tergiversare e nascondersi dietro castelli artefatti e chimere. Però… non aveva mai investigato. Al massimo si era avventurato in ricerche d’archivio per scoprire la storia di alcuni importanti provvedimenti, aveva chiacchierato in maniera informale con politici ed amministratori per comprendere cosa si celasse dietro alcune scelte, delibere o indirizzi, ma tutto questo gli appariva davvero lontano dall’indagare per scoprire un assassino. Non sapeva neppure se potesse farlo. Sì, aveva visto dei film e letto libri sul tema, come tanti d’altronde, ma non si sentiva né Poirot, tantomeno don Matteo, anche se con quest’ultimo ed il Guerrieri di Carofiglio, aveva in comune la bici come principale mezzo di locomozione. In fondo avrebbe dovuto soltanto parlare con qualche suo conoscente per raccogliere eventuali informazioni poi, assieme a don Carmine, le avrebbero passate al setaccio e valutato se potessero condurre da qualche parte. Provando a calarsi nel ruolo, la prima lucina che si accese nella sua testa, fu quella di partire dal mondo della malavita locale, poteva essere, se non una pista, un modo per cominciare. Forse voleva parodiare qualche investigatore d’ispirazione americana avvezzo a battere i bassifondi per raccogliere indizi, un Sam Spade da strapazzo, con buona pace di Hammett. Si rammentò d’aver dato una mano alla sua collega Ada nel progettare percorsi di recupero per ex carcerati, venendo di conseguenza a contatto con alcuni di loro, stringendo un rapporto, se non di amicizia, almeno di fiducia. Molti di questi erano soliti bazzicare i bar del paese e dunque si diresse al bar del castello, situato nell’omonima piazza, dove era certo di rinvenire Tonino Lagrotta detto il toro, non solo per la sua mole, ma perché tifoso sfegatato del Torino, tanto da vestire solitamente di granata. In ragione della sua forza era stato con successo corteggiato dalla delinquenza della zona e si era distinto in pestaggi, furti, atti di violenza che lo avevano condotto varie volte in carcere. Poi aveva conosciuto Brigida, un’insegnante di religione che, può darsi, per un’innata vocazione alla altrui redenzione, si era innamorata di Tonino. Brigida, per non smentire la sua inclinazione, lo aveva catechizzato a dovere, decretandogli di smetterla di fare il tagliagole da strapazzo, altrimenti l’avrebbe lasciato. L’amore si sa muove anche i monti e di conseguenza, la montagna umana Tonino, nel giro di poco tempo si era rabbonita e diventata un agnello, un agnellone per essere più precisi. Il Toro, a causa dei suoi precedenti, stentava a trovare un lavoro fisso, ma per sua fortuna i servizi sociali si erano attivati. Aveva trovato spazio all’interno di un progetto di reinserimento per ex carcerati co-finanziato dalla Comunità  Europea e operava, se pur con qualche pausa, nella manutenzione del verde pubblico, riuscendo così ad avere un introito fisso mensile che gli garantiva l’amore di Brigida e la prospettiva di un futuro assieme a lei.

Appena Tonino adocchiò Marco, gli si avvicinò tenendo al guinzaglio un cagnolino, forse un bassotto, e lo salutò calorosamente chiedendogli se potesse offrirgli qualcosa al bar. Marco, dopo una superficiale occhiata al cagnolino, a pelle antipatico, rispose d’aver da poco preso un tè, ma avrebbe gradito volentieri due chiacchiere con lui.

–          Dottò io, come sai, sto rigando dritto.

–          Di questo Tonino ne sono più che sicuro, e poi mi aggiorna quasi quotidianamente Brigida che come sai…

–          Allora non ci sono problemi!- Rispose sorridendo e, quasi a ulteriore conferma, si levò anche il festoso abbaiare del bassotto.”

Il mare nostrum sempre meno fruibile

Ogni volta che comincia l’estate ci tocca rifare la mappa dei posti dove andare, non perché l’offerta si sia ampliata, al contrario perché anche posti che ritenevano “nostri” perché li abbiamo frequentati  sin da piccoli, non sono  più  fruibili, oppure per recarsi bisogna sudare sette camice e con questo caldo…. Da Cozze a Polignano, zona che abitualmente frequento, noi “miseri mortali”, quelli che… vabbè non andiamo in vacanza, ma almeno il mare non ce lo tocca nessuno,  siamo ridotti proprio male. Non credo che le iniziative intraprese vadano nella direzione del turismo o della fruizione di qualità dei lidi e della costa, sono al contrario la solita classica abominevole idea dello sfruttamento, del business, per pochi. Sono convinto che tra qualche tempo, se non si pone un freno e si torna indietro, al posto della bandiera blu sventolerà quella nera, (sempre che non riescano a comprarsi l’agognato colore). Se perpetuiamo modelli simili a quelli esistenti in zone che non hanno la nostra natura e la nostra costa, se pensiamo che con lo stravolgimento, se pur autorizzato (ma si sa come a volte si ottengono le autorizzazioni), si possa richiamare una elite, perché tale è chi si può permettere certi costi per un tuffo ed un po’ di sole o la casa a picco mare, abbiamo davvero imboccato la peggior china dell’utilizzo del bene collettivo. Sì, perché la costa, il mare sono di tutti, sono un bene pubblico che ci è sempre appartenuto, ora basta! Le leggi non ci tutelano abbastanza o vengono applicate capziosamente. Siamo stanchi, non ne possiamo più e… vogliamo riposarci andando al mare, ma se questo non è possibile che facciamo? Io un’idea ce l’avrei…

Fulvio Ervas. Se ti abbraccio non aver paura

 Questo libro ha qualcosa di magico…per me. Ho ascoltato l’intervista al suo autore in quella interessante ed autorevole trasmissione radiofonica di radio tre Fahrenheit e poi l’ho ritrovato qualche giorno dopo a casa portato da una cara amica. L’ho letto tutto d’un fiato, mi ha avvinto sin dalle prime pagine, è una bella storia, anche se parla di disabilità ed autismo. E’ un pezzo della vita di un padre: Franco e del suo figlio autistico Andrea, in un momento particolare fuori dal quotidiano e dalle regole, il loro viaggio in America. Ervas “traduce”, sicuramente romanzandola un po’, una storia vera, perche i personaggi sono reali come le loro difficoltà e sofferenze. Ha scelto la prima persona diventando l’io narrante del padre Franco che forse stanco dei viaggi per medici ed ospedali e della vita che, per chi soffre di questa patologia, pare debba essere il più metodica e regolare, decide di viaggiare rompendo schemi ed automatismi tra preoccupazione e sconcerto, ma anche speranza e fiducia di parenti e conoscenti. Il viaggio, come tutti i viaggi ed in particolare poi questo con un compagno più che “speciale”, sarà ricco di eventi, sorprese, pericoli e sogni vissuti. Come suggestione un po’ mi ha ricordato il libro di Pirsig “Lo zen e l’arte di manutenzione della motocicletta” anche quello un viaggio in moto in America tra padre e figlio, ma che porta in altre direzioni. Quella di Ervas, Franco ed Andrea ci vuol condurre verso dubbi e certezze nuove “sappiamo di più delle galassie lontane,dei buchi neri, delle strutture più recondite della materia. Non è che l’autismo è un problema con troppe variabili? Una sfida troppo difficile? O non ci interessa abbastanza?…non si è nemmeno d’accordo su come chiamarli: disabili,diversamente abili, handicappati…gli eufemismi si sprecano. Io trovo che sarebbe più chiaro chiamarli dipendenti: Nel senso che dipendono da qualcuno, chi più chi meno. So bene che i dipendenti sono centinaia di milioni sul pianeta. Pero, questi particolari dipendenti non smettono mai di esserlo, non vanno mai, per così dire, in pensione”. Buon viaggio a tutti.

21 giugno giornata della Sclerosi Laterale Amiotrofica

Il 21 giugno è la giornata mondiale sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica. Questa terribile malattia la associo all’avvocato Camillo Colapinto, che per primo nella mia città, subendola sulla sua persona, l’ha fatta conoscere alla pubblica opinione in tutta la sua devastante gravità. Camillo Colapinto è stato protagonista di una doppia battaglia quella contro l’incalzare della malattia, che lentamente lo privava delle funzioni vitali, lasciando però inalterate le sue notevoli capacità intellettive, e quella per la tutela dei diritti, per la ricerca nell’ambito della cura e per il miglioramento dell’assistenza al malato. Camillo si è spento a soli 60 anni nel 2006 ed anche per suo merito l’informazione e l’attenzione attorno alla malattia è aumentata. L’AISLA, l’associazione della quale lui è stato presidente regionale, monitora periodicamente l’evolversi della ricerca, delle cure nonché fornisce supporti ai malati ed ai loro familiari. Voglio ricordare Camillo Colapinto con le sue parole, esse ci faranno cogliere appieno il peso della malattia e di controcanto il valore indescrivibile della vita. “Direi che nella SLA il dolore fisico non rappresenta, generalmente, la componente più significativa. Esso è dato dalla crescente stanchezza, dai crampi, dalla spasticità, dalla immobilità, a cui vanno probabilmente aggiunte anche l’eventuale insonnia e la stipsi. Preponderante è invece la sofferenza psichica, più difficile da descrivere, catalogare, misurare, lenire, in quanto vissuta e sperimentata in modo diverso da individuo a individuo, in ragione della personalità, del grado di cultura, del contesto familiare, economico e sociale nel quale ciascuna delle vittime è inserita. Il dolore psichico è provocato dall’ansia per la paura del dolore, la paura della morte, la paura dell’ospedale, la paura degli interventi chirurgici, dai problemi familiari, dalle difficoltà finanziarie, dall’incertezza del futuro. Ma altra significativa componente della sofferenza psichica è la depressione, derivante dalla constatazione del fallimento delle cure, dalla rapidità del decorso ingravescente della malattia che comporta anche l’alterazione dell’aspetto fisico, dalle difficoltà burocratiche, dalla mancanza di aiuto da parte della parentela, dal rarefarsi delle visite degli amici, dalla irreperibilità dei medici, dalla impossibilità di controllare il proprio corpo. Quest’ultimo aspetto non significa solo la paralisi degli arti inferiori e superiori (assicuro che questa circostanza è paradossalmente, a ben vedere, la meno preoccupante), ma, in particolare, la perdita di contatto con il cibo per la impossibilità di ingoiare, l’impossibilità di poter parlare e dialogare, e la terribile sensazione di soffocare per la insufficiente capacità respiratoria. Non è finita. La depressione viene causata, inoltre, dalla constatazione della perdita di ruolo nella famiglia, dal calo di prestigio sociale, dalla cessazione dei lavoro…” Un po’ di strada s’è fatta, ma c’è tanto da pedalare, tu ora puoi farlo lassù…

Angelo Maddalena “Amico treno non ti pago”

Avevo conosciuto Angelo Maddalena per caso, tornando da un concerto della “Notte della Taranta”assieme a mia sorella e mio cognato. Sapevo solo che era un loro caro amico, conosciuto in giro perché lui di “professione “ fa anche il giramondo. Suona, canta,dipinge,scrive, insomma un’artista a tuttotondo, poliedrico, che da un po’ di tempo, da quando ha deciso di non guidare più, non solo ha riscoperto i mezzi pubblici, in primis il treno, ma si è convinto che sia giusto utilizzarli senza pagare il biglietto. La sua non è solo una maniera per risparmiare, ma è una filosofia di vita, un “atto rivoluzionario” un  gesto che vuol “costringere” tutti noi a riflettere. Ha redatto persino un manifesto nel quale argomenta le motivazioni per le quali non bisognerebbe pagare il biglietto, spaziando dalle croniche inefficienze e ritardi, alla constatazione che alle aziende che gestiscono il servizio, il guadagno del costo del biglietto incide al massimo sul 20 % dell’intero bilancio il resto, per appianare i bilanci, lo mettiamo con i soldi nostri (Stato, Regioni, Comuni, etc. ). Non disdegna argomentazioni di carattere esistenziale “La criminalizzazione di chi non ha il biglietto, mira ad impedire alla gente di muoversi, di spostarsi liberamente e serenamente…io non ce l’ho con Trenitalia, è Trenitalia che ce l’ha con me.” Non disdegna anche frecciate conto i vertici che hanno gestito le nostre ferrovie ” Mi piacerebbe sapere come mai a Cimoli ( ex Amministratore delegato delle F.S. poi “promosso” all’Alitalia dove ha “collezionato” un altra bancarotta finendo sotto inchiesta per dissesto ed aggiotaggio n.d.r. ) hanno dato 2,786 miliardi di euro di liquidazione, cioè un premio, dopo che ha contribuito all’affossamento delle ferrovie italiane”. Per Angelo Maddalena il treno è anche un luogo contro la moderna alienazione, occasione d’incontri, costante monitoraggio della realtà, possibile freno contro l’inquinamento atmosferico. “ A Copenaghen alla conferenza sul clima, hanno detto che i danni climatici provocati in gran parte dalla CO2 delle emissioni delle automobili, ci costeranno 55miliardi di euro. Non sarebbe meglio con quei soldi, garantire a tutti un trasporto pubblico gratuito?” Questo moderno cantastorie ci tocca nel profondo portandoci a riflettere sulla deriva da noi intrapresa, novelli “polli d’allevamento” per dirla alla Gaber,  abbiamo dimenticato o sepolto la nostra umanità per la paura di perdere  “ il treno” di un modello di società che viaggia, senza autista, a velocità folle verso la distruzione.

Per i disabili è sempre più dura

Lo Stato rinuncia ad attuare quanto previsto dall’articolo 38 della Carta costituzionale e quanto sancito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Getta la spugna invocando un intervento caritatevole (o interessato) dei privati. Un lesto e mesto ritorno alle opere pie… o a qualcosa di peggio”.

Questa frase pronunciata da Pietro Barbieri – presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap – testimonia il malessere diffuso che sta prendendo sempre più piede tra le file delle associazioni che difendono i diritti dei soggetti più fragili.  Questo governo, stretto dalle maglie della crisi, sta cercando disperatamente di risanare la situazione italiana e, se è giusto che non vi siano zone franche, è altresì errato coinvolgere, peggiorandone la situazione, chi già è in una condizione di svantaggio. La revisione dell’ISEE, la  ventilata proposta di ricorrere al mondo assicurativo, l’assenza allo stato attuale di chiarezza e certezze sui Livelli Essenziali di Assistenza Sociale, nonché i tagli sostanziosi alla spesa sociale, sono degli indicatori non certo positivi. Lo Stato, pur di liberarsi della spesa per la disabilità e la non autosufficienza, diventa procacciatore d’affari per le Assicurazioni e le eventuali risposte assistenziali sarebbero erogate in virtù di una polizza pagata in vita dai Cittadini. “Sono dinamiche e logiche che, ovviamente, non ci appartengono – conclude Barbieri – ma che rischiano di stritolare ogni prospettiva di reale inclusione sociale o di condizionarla al censo, al patrimonio, all’età più che ad un diritto costituzionale e, prima ancora, umano”.

Albori

Si svegliò.  Doveva farlo, anche se non era molto convinto del suo soggiorno alle pendici del monte Athos. Si sentiva notevolmente debilitato, ma la  sua stanchezza era più mentale che fisica, questo però aveva ben poca importanza.

Uscì dalla tenda riparandosi gli occhi con la mano destra per proteggersi dai raggi del sole mattutino.A causa di qualche spiffero un occhio doveva essersi raffreddato perché lo infastidiva procurandogli una punta di dolore. Si lavò il viso e sorseggiò il caffè che era rimasto nel fondo del contenitore. Nessuno scriveva più neppure a lui, forse perché non era mai stato colonnello.

Il viaggio prima o poi sarebbe terminato, ma giunto nuovamente a casa nulla sarebbe stato uguale. Remota, ma non per questo impossibile la possibilità di non tornare più.  Nell’ultimo periodo ogni suo giorno era stato segnato da una lotta sottile e feroce per una posta in gioco che spesso gli sfuggiva. Quando si  imbatteva in essa una rassegnata esplosione lo faceva vibrare, perché comprendeva che il campo di battaglia era la sua vita, la sua unica ed irripetibile vita. Pur avendo compiuto 68 anni, non  voleva vivere di ricordi, si sforzava di dimenticare quanto, con un flusso vorticoso, scorreva. Ma era vana fatica, soprattutto in quella landa solitaria del suo deserto.

– Il sole abbaglia finalmente! Mi ero stancato della pioggia e dell’umidità, le definisco peggiori dell’aridità. Tutto torna volentieri, solo l’eterna madre resta.

Udì improvvisamente un suono alle sue spalle. Si girò e vide uno scheletro con la falce in mano: la classica immagine della morte. Avanzava lentamente ed inesorabilmente verso di lui, cercò di scappare, ma come negli infausti sogni restava fermo. Tensione tanta, movimento esterno nullo. Ripiegò sulla riflessione interiore immergendosi in quel mondo  di sensazioni e concetti che conducono a Dio. La morte in lui procurava sempre questa assonanza, ossificava  la vita e lo conduceva sempre alla sua estrema verità.

– Oltre la morte c’è Dio, s’apre il confronto con l’Entità che mi ha creato, con il principio e la fine. Come sono caduche tutte le cose del mondo, certo alcune belle, importanti, gioiose, ma relative. Alla fine resta la partita che conta: quella con Dio. La morte è l’estremo atto della nostra natura collegabile al primo, quello del parto o meglio del concepimento, allora saremo  posti a confronto con noi stessi, con quello che siamo stati e con il destino che ci attende. Solo quando penso alla morte mi rendo conto dell’esiguità del nostro tempo ed ho rimpianto per quello che avrei potuto fare e non ho fatto, di cos’altro avrei potuto lasciare nel mio passaggio. No, non penso alle belle giornate che avrei potuto trascorrere, al calore che mi procuravano i miei cari, ai sorrisi, ho solo un forte rimpianto per aver interrotto l’opera. Mi pervade quel senso di incompiuto, di non realizzato, dell’occasione mancata…per cosa? Per la crescita dell’umanità?!  Sarei troppo presuntuoso se pensassi a questo, anche se in fondo ogni progetto propositivo dovrebbe prendere questa direzione.Come sarebbe bello se tutte le buone idee potessero realizzarsi. Se tutti gli uomini riuscissero a vivere nella loro pienezza più nobile attuando lo scopo della propria vita, il loro compito.E’ questa soltanto una mia semplicistica speculazione o la realtà vera oggettiva delle cose? Dubitare è da saggi, avere delle certezze da illuminati, sostenere che ci sia Qualcuno che tiene le sorti di questo mondo è da credenti.Non aver paura Marcello!

Il sole era sempre più alto e la falce della morte abbacinava implacabile. Pensò che stesse per giungere la sua ora, l’ora che nessuno conosce, ma che giunge per tutti senza distinzioni di sorta. Si era mosso dalla  casa  perché in questo viaggio sul monte sacro aspettava nuove indicazioni per la sua vita,che volgeva al tramonto, ma poteva avere ancora molte ore di buona luce. Sperava in una rinascita ed invece per ironia della sorte trovava la morte. Si fece scuro in volto e cominciò a respirare affannosamente. Sudava freddo. Passarono interminabili minuti lunghi come giorni, ma il suo pensiero per fortuna non si immobilizzava, ancorandosi finalmente alla certezza che gli stava sfuggendo. Scoppiò a ridere rompendo quel silenzio interminabile. La risata lo spinse a muoversi, ora si sentiva le gambe piene di forza e decise di correre.

“O nonn fott pur a mort e quann sent ch’a mort  sta p ‘arrivà  o nonn se ne va, se ne va e non si fa truvà”.

Correva e rideva, si girò e notò che l’incedere della morte non poteva aumentare, era implacabile nell’avanzare, ma lento, inesorabilmente lento. Intravide un sentiero in discesa e lo imboccò mentre un soffio di aria fresca lo investiva. Anche se scalzo non avvertiva  eccessivi dolori alle piante dei piedi,  perché il terreno era abbastanza soffice e privo di particolari asperità. La sua corsa assomigliava ad un urlo di liberazione, una vera e propria esplosione simile a quella di un tappo di champagne che salta. Dopo un po’ si ritrovò in un’ampia distesa. Si girò e vide che la morte non c’era più, l’aveva distanziata di un bel pezzo,  non si vedeva per nulla all’orizzonte. Ricominciò a ridere perché tutto avrebbe immaginato tranne che la morte potesse essere come era descritta in numerose illustrazioni di stampo neogotico.

– Ho avuto paura di una suggestione, che stupido sono stato! Mi vien da ridere da morire! Era una burla, solo una grossa burla.

E… cadde a terra stecchito.

Sant’Antonio… Cassano

Oggi è sant’Antonio auguri a tutti gli Antonio ed in particolar modo al nostro Cassano, se li merita sia per quello che ha detto ieri, che per quanto si spera possa realizzare “sul campo” domani. Nel primo caso gli invio gli auguri affinchè possa comprendere che “gli uomini sessuali non sono poi tanto diversi da noi normali” come ha detto Checco Zalone nella sua ormai celebre canzone. Aldo Grasso stamane sulle prime pagine del Corriere  lo avvicinava maggiormente al personaggio di Albanese Cetto, ma quello di Checco sembra tagliato su misura, non solo per la cadenza e mimica barese, ma per quella spontaneità e semplicità con la quale  “pensa quello che dice”.  Lo ammetto, ho sorriso quando Antonio ha risposto a quella domanda sull’omosessualità nel mondo del calcio, nonostante gli avvertimenti di Prandelli, non avrebbe potuto rispondere diversamente, lui è così prendere o lasciare, ma non è neanche un filosofo o un opinionista. Sicuramente ha ragione il nostro presidente Vendola, avrebbe bisogno di leggere un po’ , ma non credo preferisca farlo e poi è in ottima compagnia, l’Italia è uno dei paesi che legge meno. Devo confidarvi però che ho riso a crepapelle quando ho letto le scuse di Fantantonio:” L’omofobia è un sentimento che non mi appartiene..” non perché non credo  sia vero, ma perché non è il linguaggio di Antonio, non è con quella bocca che parla! Che sant’Antonio illumini gli addetti stampa della nazionale, Antonio Cassano e tutto il mondo del calcio perché possano “sdebitarsi” per i soldi ed il successo ricevuto diventando i paladini e gli esempi della tolleranza, rispetto della diversità e sportività nella sua accezione più ampia e completa.

Bombole e bombe

 

Nel giorno in cui si risolveva la caccia al folle che, utilizzando come bombe le bombole del gas, ha causato la tragedia di Brindisi, a Conversano lo stesso mezzo distruggeva parte di un quartiere e sterminava un’intera giovane  famiglia con piccoletto di appena diciotto mesi. In questo secondo caso è stata la follia delle coincidenze a causare la grande sciagura ed evitarne altre più devastanti, portandoci a riflettere sul come un oggetto, sicuramente pericoloso, ma utilizzato da tempo con dovizia per mille usi quotidiani, possa diventare una bomba capace di uccidere e sventrare intere costruzioni. Davanti al male non si è mai al riparo, può raggiungerci sempre e dovunque, non si è mai al sicuro né in casa, tantomeno a scuola. La fragilità della vita è una costante che non deve però portarci al pessimismo ed alla costrizione, tutt’altro deve farci assaporare la sua grandezza ed il suo mistero insondabile. Viviamo un po’ di più delle farfalle delle quali ammiriamo la bellezza, sicuramente di meno degli ulivi millenari che ci incantano per la loro maestosità, facciamo fatica a superare il dolore, la sofferenza, qualunque sia la causa o “la mano” scatenante. E’ proprio per questo che bombole e bombe di qualunque tipo, metaforiche  o vere, dobbiamo avere la sensibilità e l’amore di non farle mai esplodere, di prevenire e, se è possibile, di disinnescare.

Giuseppe Piantoni. Una vita per la banda.

Mi sento solo…stanco… Il mio corpo è ormai svuotato, segnato. Non potrò più ascoltare gli scroscianti, festosi applausi, né respirare l’inebriante profumo dei fiori, omaggio alla mia arte. Ah! quei fiori, quante volte li ho sognati e quante donne li hanno poi caldamente accolti tra le mani. Trofeo per me, pegno d’amore per loro. Le donne… benedette e maledette, tormento e gioia, come la vita,come la mia vita… Ma la donna che ho amato di più è lei: la musica! La mia dolce e cara musa.

Se chiudo gli occhi vi ricordo, vi rivedo tutti, miei suonatori, miei musicanti, senza il vostro apporto la mia amata musica non avrebbe potuto prender forma. Ne abbiamo vinte di battaglie nevvero? Caro il mio capobanda, ti ricordi quel giorno? Il cielo era cupo, minaccioso, pareva dovesse cadere acqua a più non posso, ma voi imperterriti, lì, pronti a suonare. Un freddo, che al sol pensiero mi sento tutto intirizzire…proprio nel momento in cui raggiunsi la cassa armonica, si udì un tuono, così forte, che le vetrate della piazza vibrarono tutte, il segnale che aspettavo. Subito, tu capobanda, capisti. Eri certo, anche se avesse piovuto a dirotto, noi avremmo suonato, magari bagnati fradici, ma ci saremmo comunque esibiti. I nostri preziosi, inseparabili strumenti, abituati alle più dure vicissitudini, avrebbero fatto ascoltare l’opera divina di Rossini. Qualcuno credeva fosse mia, la chiamavano la cenerentola di Piantoni… Quanto fu bella quella sera, mi sembrava proprio di essere in estasi, la gente restava ad ascoltare nonostante il martellare fitto della pioggia, vibrante sottofondo per l’opera…Quel giorno c’era una circolarità nell’armonia, un vero e proprio unisono tra me, la banda, Cenerentola e il pubblico. Sarà stata la pioggia…sì… la pioggia.