Albori

Si svegliò.  Doveva farlo, anche se non era molto convinto del suo soggiorno alle pendici del monte Athos. Si sentiva notevolmente debilitato, ma la  sua stanchezza era più mentale che fisica, questo però aveva ben poca importanza.

Uscì dalla tenda riparandosi gli occhi con la mano destra per proteggersi dai raggi del sole mattutino.A causa di qualche spiffero un occhio doveva essersi raffreddato perché lo infastidiva procurandogli una punta di dolore. Si lavò il viso e sorseggiò il caffè che era rimasto nel fondo del contenitore. Nessuno scriveva più neppure a lui, forse perché non era mai stato colonnello.

Il viaggio prima o poi sarebbe terminato, ma giunto nuovamente a casa nulla sarebbe stato uguale. Remota, ma non per questo impossibile la possibilità di non tornare più.  Nell’ultimo periodo ogni suo giorno era stato segnato da una lotta sottile e feroce per una posta in gioco che spesso gli sfuggiva. Quando si  imbatteva in essa una rassegnata esplosione lo faceva vibrare, perché comprendeva che il campo di battaglia era la sua vita, la sua unica ed irripetibile vita. Pur avendo compiuto 68 anni, non  voleva vivere di ricordi, si sforzava di dimenticare quanto, con un flusso vorticoso, scorreva. Ma era vana fatica, soprattutto in quella landa solitaria del suo deserto.

– Il sole abbaglia finalmente! Mi ero stancato della pioggia e dell’umidità, le definisco peggiori dell’aridità. Tutto torna volentieri, solo l’eterna madre resta.

Udì improvvisamente un suono alle sue spalle. Si girò e vide uno scheletro con la falce in mano: la classica immagine della morte. Avanzava lentamente ed inesorabilmente verso di lui, cercò di scappare, ma come negli infausti sogni restava fermo. Tensione tanta, movimento esterno nullo. Ripiegò sulla riflessione interiore immergendosi in quel mondo  di sensazioni e concetti che conducono a Dio. La morte in lui procurava sempre questa assonanza, ossificava  la vita e lo conduceva sempre alla sua estrema verità.

– Oltre la morte c’è Dio, s’apre il confronto con l’Entità che mi ha creato, con il principio e la fine. Come sono caduche tutte le cose del mondo, certo alcune belle, importanti, gioiose, ma relative. Alla fine resta la partita che conta: quella con Dio. La morte è l’estremo atto della nostra natura collegabile al primo, quello del parto o meglio del concepimento, allora saremo  posti a confronto con noi stessi, con quello che siamo stati e con il destino che ci attende. Solo quando penso alla morte mi rendo conto dell’esiguità del nostro tempo ed ho rimpianto per quello che avrei potuto fare e non ho fatto, di cos’altro avrei potuto lasciare nel mio passaggio. No, non penso alle belle giornate che avrei potuto trascorrere, al calore che mi procuravano i miei cari, ai sorrisi, ho solo un forte rimpianto per aver interrotto l’opera. Mi pervade quel senso di incompiuto, di non realizzato, dell’occasione mancata…per cosa? Per la crescita dell’umanità?!  Sarei troppo presuntuoso se pensassi a questo, anche se in fondo ogni progetto propositivo dovrebbe prendere questa direzione.Come sarebbe bello se tutte le buone idee potessero realizzarsi. Se tutti gli uomini riuscissero a vivere nella loro pienezza più nobile attuando lo scopo della propria vita, il loro compito.E’ questa soltanto una mia semplicistica speculazione o la realtà vera oggettiva delle cose? Dubitare è da saggi, avere delle certezze da illuminati, sostenere che ci sia Qualcuno che tiene le sorti di questo mondo è da credenti.Non aver paura Marcello!

Il sole era sempre più alto e la falce della morte abbacinava implacabile. Pensò che stesse per giungere la sua ora, l’ora che nessuno conosce, ma che giunge per tutti senza distinzioni di sorta. Si era mosso dalla  casa  perché in questo viaggio sul monte sacro aspettava nuove indicazioni per la sua vita,che volgeva al tramonto, ma poteva avere ancora molte ore di buona luce. Sperava in una rinascita ed invece per ironia della sorte trovava la morte. Si fece scuro in volto e cominciò a respirare affannosamente. Sudava freddo. Passarono interminabili minuti lunghi come giorni, ma il suo pensiero per fortuna non si immobilizzava, ancorandosi finalmente alla certezza che gli stava sfuggendo. Scoppiò a ridere rompendo quel silenzio interminabile. La risata lo spinse a muoversi, ora si sentiva le gambe piene di forza e decise di correre.

“O nonn fott pur a mort e quann sent ch’a mort  sta p ‘arrivà  o nonn se ne va, se ne va e non si fa truvà”.

Correva e rideva, si girò e notò che l’incedere della morte non poteva aumentare, era implacabile nell’avanzare, ma lento, inesorabilmente lento. Intravide un sentiero in discesa e lo imboccò mentre un soffio di aria fresca lo investiva. Anche se scalzo non avvertiva  eccessivi dolori alle piante dei piedi,  perché il terreno era abbastanza soffice e privo di particolari asperità. La sua corsa assomigliava ad un urlo di liberazione, una vera e propria esplosione simile a quella di un tappo di champagne che salta. Dopo un po’ si ritrovò in un’ampia distesa. Si girò e vide che la morte non c’era più, l’aveva distanziata di un bel pezzo,  non si vedeva per nulla all’orizzonte. Ricominciò a ridere perché tutto avrebbe immaginato tranne che la morte potesse essere come era descritta in numerose illustrazioni di stampo neogotico.

– Ho avuto paura di una suggestione, che stupido sono stato! Mi vien da ridere da morire! Era una burla, solo una grossa burla.

E… cadde a terra stecchito.